Thursday, June 05, 2025

Storia critica dell'ambientalismo. Dalla via Gluck a Greta Thunberg



di Mauro Suttora

Il pianeta sta male, ma chi se ne occupa sta decisamente meglio: da associazioni storiche a nuovi protagonisti, da grandi progetti a recenti successi, come ecologia e animalismo hanno cambiato le nostre vite. Mauro Suttora ci parla del suo ultimo libro

Huffingtonpost.it, 5 giugno 2025

Dov’è finita Greta Thunberg? La ragazzina svedese che nel 2018 scosse il mondo protestando contro il cambiamento climatico è sparita dalla scena ambientalista. A 22 anni si è riconvertita in proPal, quattro giorni fa è salpata da Catania in barca a vela verso Gaza con la Freedom flotilla, ma pochi se ne sono accorti. Anche se ha cambiato rotta agitatoria, emette sempre dichiarazioni apocalittiche. Tuttavia i suoi seguaci (soprannominati ‘gretini’ dagli avversari) sono diminuiti: nei Fridays for future sfilavano in milioni, oggi sono ridotti a migliaia.

Eppure il riscaldamento globale, benché offuscato da pandemia e guerre, continua a scaldare il dibattito politico del pianeta. Il Green deal europeo e le altre misure per la decarbonizzazione sono il principale bersaglio delle destre mondiali, quanto se non più di immigrazione e woke.

“Drill, baby, drill!”, è lo slogan di Donald Trump: forza, estraiamo petrolio e gas, vendiamo quello liquido all’Europa al posto della Russia, avanti con la vecchia energia fossile.

E dall’altra parte chi c’è? Che fine hanno fatto i verdi, dopo aver raggiunto il 20% in Francia e in Germania, aver sfiorato la presidenza Usa con Al Gore nel 2000 e in Finlandia un anno fa con Pekka Haavisto?

Gli ecologisti sono vivi e vegeti. E godono di ottima salute. Il Wwf International ha un bilancio di un miliardo di dollari all’anno, l’americano Sierra Club vanta tre milioni e mezzo di iscritti nonostante Trump – o forse grazie a lui. Da noi Italia Nostra festeggia il settantesimo compleanno, il Wwf va per i 60, Legambiente compie 45 anni. Greenpeace, sbarcata in Italia nel 1986, ora rivolge le sue azioni dirette nonviolente contro l’Eni, accusandolo di inerzia sulla transizione energetica. 

E accanto alle grandi associazioni sono nati i nuovi ‘climattivisti’ di Extinction rebellion e Ultima generazione. Che si mobilitano online come gli animalisti di Essere animali e Animal equality, autori di blitz e video che infiammano il dibattito. Per fortuna hanno smesso di bloccare raccordi anulari e danneggiare quadri, per evitare la nomea di ecovandali 

La scorsa settimana gli zoofili (Lipu, Lav, Enpa, Leidaa, anticaccia, pet-friendly) hanno festeggiato l’approvazione della nuova legge che protegge cani e gatti dai maltrattamenti.

Ecologia e animalismo sono le due gambe del movimento verde. Che negli anni 70 e 80 ne aveva una terza, l’antimilitarismo, evaporata dopo l’appoggio dei verdi tedeschi e italiani governativi agli interventi umanitari Onu e Nato in Bosnia (1995) e Kosovo (1999). Oggi i Grünen in Germania appoggiano l’aiuto militare all’Ucraina e il riarmo europeo. Mentre i verdi italiani, alleati con l’estrema sinistra in Avs e beneficiari dell’effetto Ilaria Salis che li ha issati al 6% alle europee 2024, rimangono pacifisti.

Queste vicende racconto nel libro 'Green, storia avventurosa degli ecologisti da Celentano a Greta' (ed. Neri Pozza), ricordando la prima canzone ambientalista dell’Adriano nazionale: Il ragazzo della via Gluck, eliminata a Sanremo 1966. Pochi mesi dopo Fulco Pratesi fondò il Wwf Italia. E da allora i verdi ci hanno cambiato la vita: molto secondo i sostenitori, troppo per i detrattori. Fatto sta che oggi tutto sembra dover diventare ‘sostenibile’, negli spot pubblicitari come nei proclami politici. Conviene quindi conoscere bene i protagonisti della lobby verde, le loro idee e metodi, i bilanci, le strategie. E anche qualche segreto: finanziamenti imbarazzanti, complicità col greenwashing di aziende dubbie.

Illustro filosofia e proposte dei pionieri: Alex Langer in Italia, Petra Kelly in Germania, Daniel Cohn-Bendit in Francia. Ammoniva Langer 30 anni fa: “L’ecologia deve diventare desiderabile, i comportamenti virtuosi non possono essere imposti dall’alto. La responsabilità ambientalista può affermarsi non perché un dittatore illuminato dice: ‘Devi bere poca acqua, usare poca elettricità, viaggiare meno in auto, mettiamo il carabiniere accanto ai funghi per controllare che tu non ne prenda troppi’, ma per libero convincimento. Una logica burocratica e repressiva difficilmente può convincere. Occorre una forte spinta etica in positivo”.

Un appello libertario valido tuttora, per difenderci da quei politici irresistibilmente attratti dall’eterna tentazione di “mettere le mutande al mondo”. Per compiacere Greta, com’è accaduto col Green deal del 2020, o per qualche altra ottima intenzione. Il tecnodirigismo diventa meno autoritario se è dipinto di verde? O quando provoca 20mila licenziamenti alla Volkswagen? Il dilemma oggi è tutto qui. 

Saturday, May 31, 2025

Mauro Suttora: "Un mondo ecologico è necessario"

Intervista a Gazzetta di Parma, 31 maggio 2025:
Da Celentano fino a Greta Thunberg, sono sessant’anni che il movimento verde anche in Italia ha una coscienza rispettosa dell’ambiente: ma un mondo ecologico è ancora possibile?
“È non solo possibile, ma necessario. Quando nacque Italia nostra nel 1955, quindi 70 anni fa, il concetto di ‘centro storico’ non esisteva.
Si costruiva all’impazzata demolendo preziosi quartieri antichi. Oggi nessuno lo farebbe. E dopo la nascita del Wwf nel 1966 si sono moltiplicati parchi e aree protette, che ora coprono il 21 per cento dell’Italia. Allora invece i parchi erano solo quattro: Gran Paradiso, Abruzzi, Circeo e Stelvio. Nel libro racconto le incredibili vicende delle prime aree protette Wwf, con l’impegno di Fulco Pratesi e del geniale marchese Incisa della Rocchetta”.
Tra fauna e flora, quali gli esemplari a rischio immediato? Quali perdite irrimediabili potrebbe subire il pianeta?
“Legambiente pubblica la lista delle biodiversità a rischio. La Lipu, Lega italiana protezione uccelli, avverte che sono più di 200 le specie in difficoltà. Mare vivo e Sea Sheperd lanciano l’allarme per la pesca troppo intensiva. La diminuzione delle api minaccia tutto l’equilibrio della flora, per le mancate impollinazioni. Gli orsi bruni marsicani sono ridotti a 60. Buone notizie invece per gli stambecchi e per le tartarughe Caretta Caretta, con molte associazioni ecologiste impegnate a proteggerne le nidificazioni sulle spiagge”.
Rispetto al resto dei Paesi europei l’Italia è diligente o poco attenta nella salvaguardia ambientale?
“Siamo nella media, anche se nelle regioni flagellate dalle mafie i cosiddetti ‘ecoreati’ rovinano l’ambiente. Basti pensare alla Terra dei fuochi nel casertano, con le discariche abusive. Nel libro pubblico l’elenco di tutti gli ‘ecomostri’ abbattuti sulle coste italiane, grazie alle pressioni ambientaliste”.
Le cordate politiche dei verdi che hanno dato la scalata a comuni, regioni e parlamento, spesso con risultati modesti, hanno ancora un peso reale o hanno perso visibilità e interesse?
“Le liste verdi hanno debuttato nel 1985, ma non sono mai riuscite a superare il 6% in Italia, mentre in Germania e Francia hanno raggiunto il 20. In Finlandia il candidato verde alle presidenziali un anno fa ha sfiorato la vittoria col 49%. Ora i verdi italiani sono confluiti in Avs (Alleanza verdi sinistra), però nel libro ricordo che erano nati con lo slogan ‘Nè a destra né a sinistra, ma davanti’. Curiosamente i grünen tedeschi, che erano antimilitaristi, oggi invece appoggiano l’aiuto militare all’Ucraina. Ma la frattura fra ecologisti e pacifisti risale al 1999, quando i verdi che erano al governo in Italia e Germania appoggiarono l’intervento umanitario Nato contro la Serbia di Milosevic, per proteggere i civili del Kosovo”.
Su quali personaggi politici nei vari Paesi europei oggi possiamo identificare la lotta ecologista per un mondo che ha bisogno di ripristini urgenti?
“È proprio questo il problema degli ecologisti oggi. Tramontata la stella di Greta Thunberg, la ragazza svedese che nel 2018 aveva infiammato il mondo ma che ora si batte soprattutto per i palestinesi e contro Israele, non ci sono più personaggi di rilievo. Mentre nel libro dedico tre capitoli a leader carismatici del passato che hanno popolarizzato l’ecologia: Alex Langer in Italia, Petra Kelly in Germania, Daniel Cohn-Bendit in Francia. Langer, in particolare, è stato un vero e proprio profeta. Diceva che i comportamenti ecologisti non possono essere imposti dall’alto, ma devono nascere da una nostra consapevolezza spontanea che ci faccia rispettare l’ambiente. L’ho conosciuto, lui per primo non aveva l’auto, si spostava col non inquinante treno. Purtroppo si tolse la vita nel 1995, disperato perché di fronte agli attacchi serbi contro Sarajevo la nonviolenza che predicava si rivelò impotente, e quindi si rese conto che un intervento armato dell’Onu era inevitabile per proteggere i civili”.
Con la situazione economica in peggioramento si parla già di rinviare certe iniziative della green economy per evitare dannose ripercussioni. È cominciata la marcia indietro?
“Sì, il Green deal adottato dall’Europa nel 2020 è stato una fuga in avanti con l’imposizione delle auto elettriche entro il 2030. Non parliamo degli Usa, dove Trump spinge sul petrolio e sull’export di gas liquido in Europa. Ma è solo una questione di velocità: la transizione verde verso le energie rinnovabili è inevitabile, perché conveniente: sole, vento e idroelettrici sono gratis. Nel libro affronto lo spinoso problema del ‘greenwashing’, cioè di industrie inquinanti che cercano di darsi una ripittata verde fingendo di essere ‘sostenibili’ solo perché danno un po’ di soldi per piantare qualche albero. Lo ha fatto la società farmaceutica Roche, responsabile del disastro di Seveso con la diossina nel 1976, piantumando un’area verde nella vicina Monza”.
Le associazioni (sono tante) per la salvaguardia della natura tipo Wwf politicamente come sono schierate? A sinistra, a destra o al centro?
“L’unica schierata a sinistra è Legambiente, nata nel 1980 nell’area Pci. Le altre sono neutrali, specialmente Italia nostra, Lipu e gli animalisti. Fra questi c’è l’associazione di Vittoria Brambilla, deputata di Forza Italia. La più combattiva è Greenpeace, approdata in Italia negli anni ’80: privilegia le azioni dirette nonviolente, come i nuovi climattivisti di Extinction rebellion e Ultima generazione. I quali per fortuna ora hanno abbandonato i danneggiamenti e i blocchi stradali, per i quali erano stati accusati di ecovandalismo. Una delle loro ultime azioni si è svolta a Brescia il 15 gennaio di quest’anno, quando hanno bloccato i camion all’entrata dell’industria bellica Breda del gruppo Leonardo. Greenpeace è l’unica grande organizzazione che non accetta soldi né dallo stato né dalle aziende, e quindi non subisce condizionamenti. Il suo principale avversario è l’Eni, accusato di non impegnarsi abbastanza sulle energie rinnovabili”.



Friday, May 23, 2025

Il pretesto cinese. Gli intrecci con Pechino che Trump usa per torchiare Harvard


I legami dell'ateneo con il colosso cinese Xpcc, accusato di sfruttare la minoranza uigura, 2,6 milioni di dipendenti che lavorano a programmi di ricerca militare, alcuni di essi a Boston con borse di studio pagate dalla stessa azienda

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 23 maggio 2025

Perché Donald Trump minaccia di togliere all'università di Harvard il permesso di iscrivere studenti stranieri (6.800 su 25mila, più di un quarto)?

Fra le varie accuse spicca quella di avere coltivato legami con una grande impresa  paramilitare cinese: la Xpcc (Xinjiang Production and Construction Corps). Si tratta di un gigante economico con 2,6 milioni di dipendenti che opera nell'immensa regione della Cina orientale, lo Xinjiang, patria degli uiguri musulmani.

Sotto lo stretto controllo del partito comunista, la Xpcc è una specie di stato nello stato che fattura 50 miliardi di euro, il 20% del pil in quell'instabile territorio di frontiera: fabbriche, fattorie, coltivazioni, ma anche tribunali, prigioni, polizia. È accusata di deportare gli uiguri in campi di concentramento, lavoro e rieducazione politica, con violazioni dei diritti umani e addirittura pratiche genocidiarie. Per questo è stata sanzionata da Usa, Canada ed Europa.

Ciononostante l'università di Harvard si avvale di fondi del dipartimento della Difesa Usa per finanziare progetti di ricerca militare cui hanno accesso specializzandi cinesi arrivati a Boston con borse di studio della Xpcc.

Un programma di Harvard finito nel mirino della Commissione d'inchiesta della Camera Usa sul Partito comunista cinese, guidata dal repubblicano John Moolenaar, è la China Health Partnership. Ai suoi insegnamenti di politica sanitaria hanno partecipato dirigenti della Xpcc.

"Temiamo che le risorse e i servizi erogati attraverso questi corsi possano violare le leggi statunitensi, e aiutare la Xpcc a continuare la repressione degli uiguri e di altre minoranze etniche in Cina", ha scritto Moolenaar ad Harvard, spalleggiato da Tim Walberg, pure lui deputato repubblicano del Michigan, presidente della commissione Istruzione e lavoro, e dalla trumpiana di ferro newyorkese Elise Stefanik. I tre richiedono i documenti interni che organizzano queste partnership con possibili "avversari stranieri". 

Un'altra collaborazione controversa dell'ateneo del Massachusetts è quella con la Tsinghua University cinese sui delicatissimi 'zero-index materials' per l'intelligenza artificiale grazie a fondi federali militari Darpa (Defense advanced research projects agency). 

Ci sono poi gli scienziati di Harvard che lavorano con la Zhejiang University sulla ricerca dei polimeri, con preziose applicazioni per l'industria aeronautica e quindi foraggiata dall'Air Force Usa, così come un programma con la Huazhong University sulle 'leghe a memoria di forma', altro campo d'avanguardia. 

I tre politici repubblicani intimano l'ovvio ad Harvard: "I vostri scienziati non devono contribuire allo sviluppo di capacità militari da parte di un potenziale avversario".

Il problema è che sono tanti i campi scientifici al confine col pericoloso 'dual use' (sia civile che militare): microelettronica, meccanica quantistica, intelligenza artificiale. Per non parlare della collaborazione Harvard-Cina sui trapianti d'organo, dati i crescenti sospetti internazionali su provenienza e metodi d'espianto degli organi da parte di Pechino.

Naturalmente sono dilemmi che riguardano non solo Harvard, ma ogni maggiore università statunitense. Trump ha preso di mira quelle più di sinistra, come anche la Columbia di New York, ma anche la conservatrice Stanford in California soffre il taglio dei fondi federali sulla sanità. 

Ora Harvard ha tre giorni di tempo per fornire al governo e al Congresso i documenti richiesti. È difficile che l'università possa rinunciare a migliaia di rette studentesche straniere dal valore astronomico: 83mila dollari annui ciascuna, quasi sempre integrate con borse di studio. 

Ma poiché l'ammissione a un'università Usa fornisce un diritto pressoché automatico al prezioso visto per motivi di studio, è inevitabile che il governo voglia esercitare un qualche scrutinio su questo terreno di sua esclusiva competenza. Anche perché la Cina fra migliaia di studenti e scienziati può sempre infilare qualche insospettabile spia. Non si arriverà a espulsioni di massa di studenti stranieri dagli Stati Uniti: ci sarà un accordo con Harvard, oppure ci penseranno i giudici a bloccarle. Ma i 277mila studenti cinesi negli Usa verranno sicuramente passati al setaccio. Il Ministero degli Esteri di Pechino ha condannato la decisione dell'amministrazione Trump, definendola una mossa di "politicizzazione dell'istruzione". 

Wednesday, April 23, 2025

Milan non l'è un gran Milan. La diocesi più grande d'Europa è assente al conclave

È la prima volta che succede da un secolo e mezzo. L'arcivescovo Mario Delpini, 73 anni, da otto sulla cattedra di Sant'Ambrogio, non è mai stato nominato cardinale da Bergoglio. Pare che il motivo sia la mancata sorveglianza sul caso di un prete accusato di pedofilia. Un'assenza clamorosa

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 23 aprile 2025 

Milano, la diocesi più grande d'Europa, non parteciperà all'elezione del Papa. È la prima volta che succede, da un secolo e mezzo. Il suo arcivescovo Mario Delpini, 73 anni, da otto sulla cattedra di Sant'Ambrogio, non è mai stato nominato cardinale da papa Francesco. Pare che la ragione sia la mancata sorveglianza in passato sul caso di un prete accusato di pedofilia. Ma i cinque milioni di fedeli battezzati della diocesi ambrosiana (su 5,6 milioni di abitanti) sono amareggiati. E a loro si associano quelli di Venezia, il cui patriarca è anch'esso privo di porpora cardinalizia. 

Sarà un'assenza clamorosa, perché tutti i papi italiani del '900, tranne il romano Eugenio Pacelli, sono venuti da Milano e Venezia: Albino Luciani (Giovanni Paolo I), Giovanni Battista Montini (Paolo VI), Angelo Roncalli (Giovanni XXIII), Achille Ratti (Pio XI), Giuseppe Sarto (Pio X). E Carlo Maria Martini lo sarebbe diventato se non si fosse ammalato.

La diocesi di Milano si estende ben oltre i confini della sua provincia: copre mezza Lombardia, da Varese a Lecco, da Monza a Treviglio (Bergamo). Anche in Svizzera, nel canton Ticino, molte zone seguono tuttora il rito ambrosiano. E la ferita si è acuita quando nel 2022 è diventato cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como, sede secondaria. Quasi una beffa. 

Milano è la quarta diocesi più grande del mondo, superata soltanto da Kinshasa (Congo) con sette milioni di battezzati su dodici milioni di abitanti, Guadalajara (Messico) con sei milioni e San Paolo (Brasile), 5,1 milioni. Però i loro arcivescovi sono tutti cardinali. L'ultimo milanese non cardinale fu Luigi Nazari di Calabiana (1867-93), ma solo perché era troppo legato ai Savoia (addirittura senatore del regno di Sardegna), in un'epoca segnata dal conflitto stato-chiesa dopo la breccia di Porta Pia. 

Neanche Parigi parteciperà al conclave, il suo arcivescovo non è cardinale. Curioso invece che lo sia il vescovo della piccola Ajaccio in Corsica, meta dell'ultimo viaggio di Bergoglio. E in Italia vantano un cardinale Agrigento e Siena, mentre Palermo ne è priva.

Anche all'estero il papato di Francesco ci lascia delle incongruenze. In Mongolia i 1.400 cattolici (lo 0,04% dei 3,3 milioni di abitanti) sono così pochi che non hanno neppure una diocesi: la loro è una prefettura apostolica. Ciononostante, nel 2022 è stato inopinatamente creato cardinale il simpatico e aitante ex boy scout cuneese Giorgio Marengo, allora 48enne, prefetto apostolico nella capitale Ulan Bator. Era il cardinale più giovane del mondo fino all'ancor più singolare nomina durante l'ultimo concistoro nello scorso dicembre di un ucraino 45enne, Mykola Byčok, che però non vive nel suo Paese bensì in Australia, a guidare i 36mila cattolici ucraini emigrati lì. 

In Marocco il colonialismo non è finito: i 22mila cattolici (su 33 milioni di abitanti) possono contare sul cardinale arcivescovo di Rabat Cristobal Lopez Romero, spagnolo. Francesco ha incardinato anche il vescovo di Tonga (12mila cattolici su centomila abitanti, meno di una qualsiasi parrocchia italiana) e quelli di Papua Nuova Guinea o Timor Est. Invece interi stati come Venezuela o Bolivia, con decine di milioni di cattolici, non hanno neanche un cardinale elettore. 

Bergoglio aveva un debole per l'Asia. Possono contare su un cardinale la Birmania, mezzo milione di fedeli su 50 milioni di abitanti (l'uno per cento) o la Thailandia, con 300mila su 60 milioni. Da quattro mesi c'è perfino un cardinale, non iraniano, per i 62mila cattolici persiani: un frate cappuccino belga. L'Iran ha 92 milioni di abitanti, quindi i cattolici rappresentano lo 0,6% della popolazione. 

Certo, il collegio cardinalizio non funziona come un parlamento mondiale della Chiesa. Oltre ai criteri di rappresentanza il papa tiene conto di altri fattori: valorizzazione delle periferie, singoli vescovi premiati per la loro opera pastorale, per il loro apporto intellettuale o di devozione. D'altra parte, succede così anche nelle grandi democrazie laiche: negli Usa il Wyoming (mezzo milione di abitanti) ha due senatori come California (40 milioni), Texas (30) o New York (20). 

Speriamo che lo Spirito Santo illumini i porporati nella cappella Sistina, spingendoli a eleggere un Santo Padre che torni a essere paterno e comprensivo anche per la negletta Milano. 

Tuesday, April 15, 2025

La Svizzera a modo suo. Dibatte su come trattare con Trump, poi mette sul tavolo 162 miliardi

Qui le aziende private non chiedono sovvenzioni, come in Italia, ma danno al governo i fondi per evitare i dazi. Novartis da sola stanzia 23 miliardi, Roche altri 10. E poi gli altri giganti: Nestlé, Rolex, Abb, Bühler, Stadler

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 15 aprile 2025

"Niente trattative con i regimi neofascisti. Non dobbiamo assolutamente cedere ai ricatti di Trump". Parola di Jacqueline Badran, la politica più votata della Svizzera: 150mila preferenze alle ultime elezioni del 2023. Il suo partito socialista con il 18% è il secondo del parlamento elvetico, dietro l'Unione democratica di centro col 28%. Karin Keller-Sutter, presidente federale svizzera, liberale (14% dei voti), ha invece telefonato a Donald Trump, spedendo a Washington Helene Budliger Artieda, direttrice del potente Seco, il segretariato dell'Economia di Berna. Sarà lei la plenipotenziaria che negozierà sui dazi, fissati arbitrariamente dal presidente Usa al 31%, contro il 20% per l'Unione europea.

Chi avrà la meglio, fra queste due posizioni apparentemente inconciliabili? Quella innaffiata dai soldi, naturalmente. Cioè dai 150 miliardi di franchi svizzeri (circa 162 miliardi di euro) che la signora Budliger prometterà di investire negli Usa durante i prossimi quattro anni. Perché i socialisti possono inveire finché vogliono contro il "neofascista Trump". Ma al governo ci sono anche loro, con due ministri su sette: formula fissa dal 1959, due ciascuno a Udc e liberali, più uno a un partitino di centro. E questa grossissima coalizione non verrà scalfita neanche dalle mattane di Washington. Quindi la signora socialista Badran con il suo estremismo verbale potrà fare il pieno dei voti antitrumpiani alle prossime elezioni, ma nulla di più.

Anche perché i 150 miliardi da offrire a Trump non sono soldi pubblici: provengono dalle multinazionali svizzere che prevedono di investirli in fabbriche e impianti negli Stati Uniti. Contrariamente all'Italia, dove gli imprenditori minacciati dai dazi si sono affrettati a chiedere allo stato 25 miliardi di provvidenze pubbliche, in Svizzera sono le aziende private a dare al governo i fondi per evitarli.

Novartis da sola stanzia 23 miliardi, la concorrente farmaceutica Roche altri dieci. E poi gli altri giganti: Nestlé, Rolex, Abb, Bühler, Stadler che produrrà treni negli Usa. In totale, la Camera di commercio svizzero-americana stima che verranno superati agilmente i cento miliardi, fino a sfiorare i 150: "Sono investimenti che in buona parte avremmo effettuato comunque".  C'è un importante risvolto in questo pacchetto elvetico: comprende anche l'istruzione professionale e l'addestramento per i loro nuovi dipendenti statunitensi. Proprio quello che vogliono i fautori della reindustrializzazione trumpiana. 

La ciliegina sulla torta, infine, è la promessa di acquistare altri aerei da guerra F-35 e sistemi di difesa Patriot made in Usa. In barba, ancora una volta, alle proteste della socialista Badran: "Non compriamo più armamenti dagli Usa, cancelliamo gli F-35. Se dobbiamo spendere miliardi in nuove armi, facciamolo con i nostri partner europei". Difficile che succeda. Perché così recita l'antico motto della politica estera svizzera: "Riparati e cerca di cavartela". Se funzionò con Hitler, andrà bene anche con Trump. 

Saturday, March 08, 2025

Il giulivo Pd per il no di Salvini al rearm di Meloni

"Bravo Matteo, ora ascoltaci anche su sanità, salario minimo e trasporti". L'imbarazzante post sulla pagina Instagram dem

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 8 marzo 2025

"Bravo Matteo, ora ascoltaci anche su sanità, salario minimo e trasporti". Il Pd è felice per il no di Salvini alla politica estera di Giorgia Meloni e così, come si dice in politica, cerca di infilarsi nelle contraddizioni della maggioranza per farla esplodere. O almeno per incrinarla, logorarla, metterla in difficoltà.

"No alle armi!". Ecco il nuovo slogan per la seconda metà del secondo decennio del primo secolo del terzo millennio. Una svolta epocale, che affratellerà Pd (perlomeno quello di un post ufficiale su Instagram in un pomeriggio di sabato, a Milano è ancora carnevale) e quel che resta della Lega contro i Fratelli d'Italia, in nome del pacifismo.

No a quali armi? Non sottilizziamo. Il messaggio dev'essere chiaro e semplice. Quindi no agli 800 miliardi di Ursula von der Leyen, perché solo su questo Elly Schlein e Matteo vanno d'accordo. 

Il Pd però dice sì all'integrazione delle forze armate Ue con i suoi 81 differenti stati maggiori (27 Paesi con tre armi ciascuno), mentre Salvini su questo è sovranista come Giorgia. Così come detesta Emmanuel Macron e la sua offerta di estendere al continente l'ombrello nucleare francese.

Sull'Ucraina, poi, finora c'è stata sempre solidarietà nazionale. Ma l'ha rotta Giuseppe Conte, e figurarsi se Salvini gli lascia i voti pacifisti.

Insomma, se la spregiudicatezza può essere una virtù in politica, l'occhiolino del Pd a Matteo è comprensibile. Magari fra un po' cancelleranno il post dicendo che era uno scherzo goliardico. In fondo abbiamo già sperimentato due anni di governo democratico-grillino, e allora perché non un trio Elly-Matteo-Giuseppe in nome della pace?

Anche perché ormai Meloni non può più essere accusata di essere atlantista, aggettivo evaporato dopo la svolta trumpiana. E se Trump si allea con Putin, potrà il Pd fare lo stesso con la Lega?

Ieri è mancato Pasquale Laurito, lo storico estensore della Velina rossa. Ai suoi tempi il severo Pci avrebbe liquidato la fantasiosa apertura a Salvini come "avventurismo".

Temiamo che per gli odierni dirigenti Pd questa parola significhi solo "turismo di avventura": rispondere con battute alle battute d'avanspettacolo di Giorgia.

Wednesday, March 05, 2025

I vescovi europei duri contro Putin e Trump. Oltre il pacifismo ecumenico di Francesco

La Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea pubblica un documento dai toni inusuali, contro l'aggressione del Cremlino e le narrazioni della Casa Bianca: "Respingiamo fermamente qualsiasi tentativo di distorcere la realtà"

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 5 marzo 2025  

L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è "ingiustificabile". "Siamo grati alla Ue che ha fornito un sostegno al popolo ucraino": non solo umanitario, politico ed economico, ma anche "militare". Perché l'Ucraina lotta "per il destino dell'intero continente europeo e di un mondo libero e democratico". Ieri i vescovi Ue, riuniti nella Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea), hanno pubblicato un documento dai toni inusuali, lontani dal pacifismo ecumenico di papa Francesco. 

"Il popolo ucraino soffre da più di tre anni", scrivono i prelati della Commissione, alla cui presidenza siede dal 2023 il vescovo di Latina monsignor Mariano Crociata (nomen omen?), "e gli siamo vicini". Essi affermano di pregare per morti e feriti di entrambi gli schieramenti, e ci mancherebbe. Ma anche per "chi continua a difendere la propria patria", ovvero soltanto gli ucraini. 

I vescovi europei picchiano duro su Vladimir Putin: "L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è una palese violazione del diritto internazionale". Auspicano che la Corte penale internazionale prosegua nel suo procedimento contro il presidente russo: "L'uso della forza per alterare i confini e gli atti atroci commessi contro i civili richiedono una ricerca di giustizia e responsabilità". E alla Russia toccherà pagare: "La comunità internazionale deve assistere l'Ucraina nella ricostruzione delle infrastrutture distrutte. La Russia, l'aggressore, deve partecipare adeguatamente a questo sforzo".

Ce n'è anche per Donald Trump: "Una pace integrale, giusta e duratura può essere raggiunta solo attraverso negoziati. Qualsiasi sforzo di dialogo deve essere sostenuto da una forte solidarietà transatlantica e deve coinvolgere la vittima dell'aggressione: l'Ucraina. Respingiamo fermamente qualsiasi tentativo di distorcere la realtà di tale aggressione".

L'imbarazzo in Vaticano per questa dura presa di posizione dei vescovi europei è palpabile. Il sito ufficiale Vatican news l'ha pubblicata solo in inglese, francese e tedesco. I canali italiano e spagnolo l'hanno confinata in poche righe all'interno di un altro articolo.